Sviluppi e applicazioni della nuova guerra cognitiva
Difesa e Sicurezza

Sviluppi e applicazioni della nuova guerra cognitiva

Di Marianna Santucci e Daniele Ferraguti
17.07.2025

L’evoluzione multidimensionale dei conflitti ha incrementato i perimetri spaziali in cui si gioca il confronto, il quale spesso travalica gli effetti generati sul campo di battaglia per assumere una connotazione molto più trasversale. In questo contesto si colloca la guerra cognitiva (CW – Cognitive Warfare), divenuta uno strumento di guerra non convenzionale volto a penetrare il processo decisionale e selettivo umano attraverso l’alterazione dei pensieri, delle percezioni e delle emozioni. La CW si colloca in un segmento più ampio rispetto all’Information Warfare ed alle Psychological Operations(PsyOps), le quali costituiscono eterogenee modalità per la conduzione di operazioni che possono avere impatti nell’ambiente informativo o all’interno della propaganda narrativa. La prima è infatti caratterizzata prettamente da attività di disinformazione e misinformazione, veicolabile mediante canali social o media locali e nazionali, in grado di generare effetti tendenzialmente in un arco temporale di medio termine. D’altra parte, le PsyOps si configurano per la capacità di influenzare il morale e le emozioni della popolazione, nonché del personale militare stesso, in situazioni mirate o specifici momenti del conflitto. Un’operazione psicologica efficace presuppone un’analisi dettagliata dell’obiettivo, comprensiva di codici linguistici e culturali, simbolismi, usi e costumi al fine di riuscire a disgregare la coesione e l’efficienza decisionale dell’avversario. Esse sortiscono degli effetti generalmente di breve termine, circoscritte appunto alla tipologia di flussi emotivi mobilitati. La Cognitive Warfare, invece, ambisce ad una penetrazione onnicomprensiva, alimentata da tecniche e tattiche diversificate, volte a permeare ed alterare la percezione della realtà circostante, agendo direttamente sui processi mentali. La diffusione massiva dell’Intelligenza Artificiale (AI – Artificial Intelligence) osservata negli ultimi anni, ha inoltre rappresentato un importante catalizzatore per la conduzione di operazioni catalogabili nel segmento della guerra cognitiva. Un altro elemento rilevante osservato è costituito dalla persuasione persistente della CW, spesso attuata per lunghi archi temporali e anche in assenza di conflitti, e per questo in grado di continuare a produrre effetti nel lungo termine.

Sebbene non si possa attribuire ad un singolo e preciso Paese l’origine esclusiva dell’utilizzo di questo strumento, tra le prime manifestazioni più significative di guerra cognitiva vi è l’Operazione Infektion, sostenuta dall’Unione Sovietica nel corso degli anni ’80 del secolo scorso. In quel caso l’apparato politico di Mosca diffuse la falsa notizia, secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero creato il virus dell’HIV, all’interno di centri utilizzati per la sperimentazione biologica. La campagna, risultata compromettente per l’avversario, venne veicolata attraverso lo sfruttamento dei principali canali di comunicazione dell’epoca, inclusa la diffusione di notizie da parte di Paesi terzi manipolate, come poi emerso, dal KGB sovietico. La Federazione Russa ha poi proseguito con il ricorso sistematico a strategie di CW, confluite sia nell’Information Warfare, sia nelle PsyOps. L’attuale impianto dottrinale russo inserisce tutte queste azioni nel macro-segmento dell’Information Confrontation, all’interno del quale si collocano gli aspetti multispettrali della guerra informativa e psicologica ricompresi nella cosiddetta Dottrina Gerasimov. In tale quadro, prima la guerra in Ossezia del Sud nel 2008, poi l’annessione della Crimea nel 2014 e successivamente l’inizio del conflitto russo-ucraino nel 2022, hanno contribuito a cristallizzare una strategia di Cognitive Warfare perenne e fortemente orientata al simbolismo ed alla narrativa nazionalista di supporto alle cause belliche. L’adattamento evolutivo delle diverse strategie di modellamento cognitivo ha avuto l’obiettivo primario di legittimare le azioni della Russia sia sul piano internazionale che sul fronte interno, attraverso la riscrittura della percezione pubblica, l’utilizzo di simboli storici, memorie collettive e sentimenti identitari. Ad accrescere l’articolazione operativa è stata, infine, la configurazione della struttura politica e statale russa, la quale ha trovato l’apice nell’integrazione verticale di mezzi di comunicazione tradizionali agli strumenti digitali, capaci di orientare l’opinione pubblica in modo chirurgico e selettivo.

Anche gli Stati Uniti hanno progressivamente definito ed integrato gli emergenti concetti di CW all’interno degli approcci operativi. Il Dipartimento della Difesa statunitense inserisce tali strumenti all’interno delle Operations in the Information Environment (OIE), equiparandole per rilevanza alla centralità che hanno il fuoco, la manovra e l’intelligence all’interno dello spazio di battaglia. L’approccio statunitense si impernia su una concezione multidimensionale della guerra cognitiva, enfatizzando l’uso della Strategic Communication (StratCom), le operazioni psicologiche a carattere offensivo e difensivo (PsyOps) e il miglioramento della resilienza cognitiva della popolazione. Contestualmente, si evidenzia un investimento rilevante in programmi sperimentali ed innovativi sostenuti dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), i quali integrano l’impiego di AI avanzata, algoritmi e neuroscienze al fine di creare un laboratorio virtuale all’interno del quale testare la resilienza del personale e l’efficacia di tecniche evolutive. L’applicazione della guerra cognitiva da parte degli Stati Uniti si incentra soprattutto sulla capacità di ottenere l’iniziativa informativa, dettare il frame narrativo e, parallelamente, prevenire e decostruire la disinformazione avversaria. Ne rappresenta un esempio l’Operazione Earnest Voice, una PsyOp ampliata fino ad un livello di CW, condotta all’inizio del decennio scorso in Medio Oriente e Asia Centrale e volta a contrastare il proselitismo jihadista nell’area. Nello specifico, il piano operativo ha previsto la creazione di numerosi profili social falsi, abilitanti alla decostruzione di posizioni estremiste e sincronicamente all’istillazione di messaggi politici alternativi.

Il processo integrativo della CW all’interno dell’Alleanza Atlantica, posto l’approccio operativo in linea con quello statunitense, definisce la guerra cognitiva come un’estensione alla dimensione della guerra ibrida, fino all’ipotesi di definirla nel futuro come il sesto dominio operativo. La postura della NATO si distingue tuttavia per una connotazione difensiva, incentrata prettamente su schemi cognitivi di risposta e adattivi. Essa pone l’attenzione sulla capacità di preparare la popolazione attraverso campagne di resilienza psicologica e cognitiva, congiunte ad un incremento dell’alfabetizzazione informativa e digitale. L’assunto dell’Alleanza delinea la guerra cognitiva come una cruciale minaccia in grado di destabilizzare la stabilità politica e sociale delle democrazie europee ed occidentali, la quale richiede delle contromisure di prevenzione e mitigazione orientate al coinvolgimento sapiente e consapevole della popolazione. Se da un lato tale approccio potrebbe presentare dei limiti applicativi in caso di conflitto diretto, dall’altra rappresenta una soluzione complessa, ma potenzialmente efficace, di contrasto a tipologie di azioni sempre più implementate anche da attori non statuali e organizzazioni terroristiche.

La Repubblica Popolare Cinese, invece, presenta una consolidata integrazione concettuale dell’ibridizzazione della guerra attraverso strumenti cognitivi, in cui già nel 2003 all’interno della Strategia dei Tre Conflitti (Three Warfares) veniva menzionata la centralità dell’ambiente informativo, degli aspetti psicologici e del diritto legale. La metodologia cinese perseguita non si limita ad episodi sporadici e mirati, bensì sviluppa un’azione sistemica ad intensità variabile e graduale che agisce sull’economia dell’informazione globale, sulle dinamiche culturali, sulla diplomazia e sulla costruzione di una narrativa politica unitaria. In questo contesto, ed in considerazione dell’ampia e peculiare struttura politica di vertice, il confine tra diplomazia, veicolazione dell’informazione nazionale, cyber-intelligence e operazioni cognitive risulta labile, e ciò consente delle permanenti operazioni nella grey zone della dimensione cognitiva. Gli elementi principali della strategia di CW della Repubblica Popolare Cinese sono plasticamente rappresentati dalla mobilitazione operativa volta a penetrare l’ambiente informativo di Hong Kong e Taiwan, come avvenuto nelle proteste del 2019 nel primo caso e nel contesto delle elezioni politiche del 2024 nel secondo caso. Nello specifico, si è assistito a campagne plurime articolate principalmente sull’utilizzo di canali social, contenuti audio-visivi e tecniche di contro-informazione finalizzate a decostruire le istanze ritenute revisioniste o vicine a posizioni avverse.

Il conflitto russo-ucraino ha poi funto da propulsore nella diffusione di tecniche e tattiche di guerra cognitiva. La Federazione Russa, mediante la propagazione del simbolo “Z”, ha strutturato una delle campagne più emblematiche di Cognitive Warfare. Inizialmente catalogato come un semplice segno identificativo sui veicoli militari, la “Z” è rapidamente diventata un veicolante di consenso patriottico e di supporto alla causa bellica russa. Diffuso in contesti civili e scolastici, sui social e nei media ufficiali, tale simbolo ha trasformato un distintivo operativo in un totem ideologico, polarizzando il discorso pubblico e cristallizzando l’associazione diretta con l’operazione militare e le annesse posizioni su di essa. In maniera diversa, ma parallela, la controparte ucraina ha sfruttato le capacità dei droni First Person View (FPV) per la diffusione di materiale visivo proveniente dal campo di battaglia. I video prodotti da questi ultimi, infatti, si sono rivelati abilitanti alla documentazione dei successi militari ucraini ottenuti sul terreno, al fine di alimentare una narrativa che ponesse in risalto l’efficienza delle Forze Armate ucraine rispetto a quelle rivali. Tale strategia rappresenta la fusione di una mirata PsyOp che si propaga in una dimensione cognitiva più ampia, travalicando gli effetti percettivi ed umorali generati sui combattenti e alimentando una causa di resistenza nazionale.

Nonostante non produca effetti cinetici, l’evoluzione multidimensionale della guerra cognitiva presenta diversi elementi abilitanti alla generazione di effetti, diretti ed indiretti, sul campo di battaglia, nonché all’ottenimento di vantaggi strategici. Lo sviluppo di misure e contromisure sarà pivotale nella gestione dei conflitti del futuro, in cui la pervasività della percezione cognitiva verrà esacerbata dai progressi dell’intelligenza artificiale, degli algoritmi predittivi e delle neuroscienze. Come già osservato nel passato e come verosimilmente sarà incrementato nel futuro, complesse ed articolate campagne di guerra cognitiva possono essere in grado di alterare, modificare o determinare eventi politici, sociali e militari di ampia rilevanza. La creazione di fake news, la diffusione di informazioni sensibili o l’inquinamento delle stesse, potrebbe aprire spazi di crisi direttamente impattanti sul campo di battaglia, e pertanto invalidare o disarticolare le relative operazioni militari. In tale scenario, uno dei fattori di maggiore vulnerabilità è dettato dalla stretta correlazione tra il processo decisionale politico e quello militare, in cui il primo potrebbe risultare particolarmente esposto ad attacchi che ne compromettano la regolare pianificazione del secondo. Come parzialmente già avvenuto, la combinazione puntuale e reiterata di azioni volte alla modellazione della realtà circostante potrebbe avere un impatto estremamente rilevante anche sui comportamenti e sulle scelte sociali. Emozioni, percezioni e paure della società, se catalizzate, possono provocare fratture sfruttabili in maniera multidirezionale da tutte quelle realtà che conducono operazioni di guerra ibrida. In questo segmento si inserisce il fattore legato al reflexive control, una strategia volta ad indurre la controparte ad effettuare scelte che risultino favorevoli e funzionali ai propri obiettivi, che siano strategici o politici. Una strategia di guerra ibrida su vasta scala, pertanto, è potenzialmente in grado di produrre una polarizzazione dell’opinione pubblica fino a posizioni estremiste o endemicamente conflittuali. Parimenti, la radicalizzazione di determinati gruppi sociali può generare l’amplificazione percettiva di una minaccia, nonché crearne di nuove, le quali potrebbero continuare ad alimentare il processo originario. La dimensione cognitiva, pertanto, rappresenta già uno spazio di confronto strategico all’interno del quale le diverse tipologie di attori possono sviluppare la propria strategia di azione, prefigurando un ambiente informativo sempre più contestato e conteso.