GPU, sanzioni e stacking: la nuova corsa tecnologica tra Stati Uniti e Cina
Nel corso degli ultimi anni, la competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina è andata intensificandosi. Al centro del confronto, in particolare, si segnala il tentativo statunitense di contenere lo sviluppo cinese nel settore dell’Intelligenza Artificiale (IA) attraverso restrizioni sulle esportazioni. Le compagnie cinesi operative nel settore dell’IA e i loro fornitori americani (Nvidia, AMD, Intel) si sono così ritrovati a dover far fronte a una situazione normativa sempre più stringente. Il tal senso, il Bureau of Industry and Security (BIS), organo del Dipartimento del Commercio statunitense preposto alla regolamentazione dell’export di tecnologie sensibili, nel tentativo di bloccare l’accesso cinese a componenti chiave per l’intelligenza artificiale, ha progressivamente ampliato la propria Entity List. Da questo monitoraggio non è stata esclusa nemmeno la GPU (Graphic Processing Unit) H20 di Nvidia progettata per rispettare i parametri delle restrizioni precedenti, e che è stata comunque inserita nella lista a metà aprile, richiedendo una specifica licenza per l’esportazione verso la Cina. A tal proposito, l’azienda americana ha denunciato perdite per oltre 5,5 miliardi di dollari, tra contratti insoluti e prodotti invenduti, con potenziali ricadute negative sugli investimenti in R&S. Ciononostante, Nvidia sembra già lavorare a un nuovo modello destinato al mercato cinese, ma che dovrà in ogni caso ottenere l’approvazione del BIS. Al momento, resta da comprendere il ragionamento alla base della decisione statunitense di includere anche il secondo modello ‘diluito’ di GPU nella Entity List.
Recentemente, il dibattito su IA e GPU si è spostato fino a centrare la propria attenzione sui sistemi che integrano grandi quantità di schede, piuttosto che sulle caratteristiche delle unità da cui sono composti. L’esperienza accumulata da Huawei in questo campo, infatti, ha permesso agli sforzi cinesi di superare le barriere della potenza computazionale attraverso network di sistemi complessi, soprattutto grazie ai costanti miglioramenti dal punto di vista software che permettono una migliore interconnessione tra le GPU ‘impilate’ nel sistema. Nello specifico, il sistema CloudMatrix 384 (CM384), realizzato attraverso l’interconnessione di 384 unità di Ascend 910C, il modello di GPU firmato Huawei di più recente commercializzazione, rappresenta il massimo sforzo innovativo tanto dell’azienda, quanto del mercato cinese. Al momento, come è stato dimostrato dal successo inaspettato del modello LLM r1 di DeepSeek, la capacità di creare sistemi che interconnettono numerose GPU (cosiddetto stacking, o impilamento), resa possibile da ottimizzazioni software avanzate (massive parallelism), è strategicamente più rilevante delle singole microarchitetture che li compongono.
Al contempo, gli sforzi cinesi di autonomia nel settore proseguono attraverso aggiramenti della norma legale e rapidi progressi nella produttività dei nuovi campioni del settore. Nella realizzazione delle singole GPU prodotte internamente (come le Ascend di Huawei), infatti, il mercato della Repubblica Popolare Cinese (RPC) è ancora dipendente dall’importazione di memorie ad alta larghezza di banda (HBM), laddove la resa produttiva da parte del campione nazionale ChangXin Memory Technologies (CXMT) è ancora lontana dal raggiungere gli standard necessari all’industria interna. Ciononostante, Samsung ha comunque rifornito Huawei, che ha importato dal gigante tech coreano una quota massiccia pari a 13 milioni di HBM da utilizzare nel packaging di circa 1,6 milioni unità di Ascend 910C prima che venissero imposte sanzioni da parte del BIS al termine del mandato del Presidente Biden. Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), attore attivo nel segmento produzione di chip logici con sede a Shanghai, ha progressivamente aumentato la propria resa: lo scorso anno, la compagnia ha incrementato di mese in mese la portata produttiva di circa 50.000 wafer, in parte grazie alla possibilità di ottenere strumentazione dall’estero nonostante le sanzioni. Nonostante le limitazioni imposte dai controlli, Huawei è riuscita comunque a incontrare le proprie esigenze ottenendo la fabbricazione ad hoc di chip da parte di TSMC attraverso ordinazioni avvenute per mezzo di terze parti non ancora iscritte sulla Entity List del BIS. Dalla fusione in coppie dei 2 milioni di articoli ottenuti, Huawei ha infatti ottenuto il packaging dei suoi processori Ascend 910C senza dover fare affidamento sulle ancora limitate prestazioni di SMIC.
Circonvenzioni alla norma legale come quella appena accennata continuano a rallentare gli sforzi profusi dal BIS nel contenimento delle ambizioni di politica industriale della Cina. Come nel caso precedente, alcune avvengono attraverso ordinazioni commissionate da entità fittizie con sede legale a Singapore, o semplicemente attraverso l’acquisto di alcuni sistemi finiti (che in alcune circostanze, a differenza dei singoli chip, non sono inclusi sulla lista dei controlli) all’interno dei quali il chip incriminato viene saldato con leggerezza tale da permetterne più facilmente l’estrazione una volta giunto in Cina.
In definitiva, l’approccio statunitense appare reattivo e frammentato, e finora non ha impedito alla Cina di sviluppare soluzioni alternative e rafforzare le proprie capacità. La sfida non sembra essere più quella di bloccare l’accesso alle tecnologie, ma di mantenere un vantaggio in un contesto di innovazione sempre più diffuso e decentralizzato. Ad ora, processi di innovazione indigena sostenuti da una più stretta collaborazione tra Stato e imprese nella RPC hanno già prodotto risultati notevoli. Inoltre, permane da parte dell’amministrazione americana la criticità di trovare una linea coerente per la stesura di norme che limitino da un lato con chiarezza le capacità cinese, ma che non mettano a repentaglio dall’altro la posizione e gli interessi delle proprie aziende chiave.